Cosa c’entra la cultura dello stupro con queste domande?

Dice lǝ saggiǝ: “Ogni mattina una persona bisessuale dichiarata si sveglia, sapendo di dover correre più velocemente di chi si metterà a inseguirla, per chiederle se abbia mai fatto/farebbe una threesome/orgia/ménage-à-trois. E se fosse pure una donna e/o una persona female presenting dovrebbe correre al triplo della velocità.

Adesso, noi di Orgoglio Bisessuale siamo le ultime persone al mondo che si metterebbero a giudicare le fantasie altrui. Siamo persone poliamorose, monogame, kinky e non kinky, cisgender, transgender, ASPEC o allosessuali, con un’attività sessuale più o meno intensa e abbiamo/abbiamo avuto partner stabili o occasionali. Siamo d’accordo che parlare senza tabù delle proprie fantasie in un contesto sicuro aiuti a combattere la sessuofobia e la bifobia interiorizzata, a superare alcuni traumi, a provare senso di appartenenza, riappropriandoci di spazi, corpi e storie di corpi che sono solo nostri. E siamo assolutamente d’accordo che tutte le persone bisessuali siano valide, a prescindere da quanto la loro vita sessuale combaci oppure no con degli stereotipi sdoganati anche fuori dal mondo LGBTQIA+. L’accettazione di qualunque realtà all’interno di quell’ampia, ampissima realtà dello spettro bi è uno dei primi aspetti della sex positivity. Quindi, per principio, lunga vita alle threesome e a chi le ha fatte, le fa o desidera farle.

Il problema sorge quando certe domande poco originali non sono poste in un contesto protetto.

Quando persone poco note pretendono di trattarci come se fossimo dispenser automatici di informazioni gratuite. Quando le “legittime curiosità” (sic) che vorrebbero togliersi su di noi e sul nostro orientamento sessuale e/o romantico impongono di scendere nel dettaglio di cose private. Quando si pretende, non senza una certa morbosità, una risposta approfondita con cui mostrarsi senza filtri o preconcetti, pena l’accusa di sessuofobia.

In tal caso, uno degli atti più radicali che esistano può essere quello di mostrare di sé solo la polvere che si solleva scappando. E sto per prendermi un articolo intero per spiegare come mai.

Oh, ma insomma, che c’è di male, razza di bigott3? Io parlo di sesso con chiunque, sdoganiamo l’argomento e vivremo tutt3 meglio!

Vedete, non importa come una persona bisessuale scelga di rispondere davanti a questo evergreen. Può scrollare le spalle e limitarsi a dire di non averne mai fatte, può sbracare raccontando orge di proporzioni galattiche e usando un linguaggio sopra le righe per scioccare e scandalizzare tutto il circondario, può irrigidirsi e sbottare in un “no” secco, può ridersela con un semplice “E tu?” di rimando, o qualunque altra cosa. Qualunque risposta, dal silenzio imbarazzato alla provocazione crassa, sarebbe accettabile se fosse quella giusta per lui/lei/lǝi/loro.

Ciò che conta, il minimo comun denominatore presente in chiunque ce lo chieda a brutto muso, è di non aver proprio preso in esame il nostro consenso.

In questa “legittima e innocente curiosità” posta da persone misconosciute, di solito, non ci siamo noi come individui unici e irripetibili. Ci siamo noi come formina preconfezionata di “bisessuali”, e al diavolo la nostra autodeterminazione come esseri umani a tutto tondo che sono anche bisessuali. Ci viene richiesto di rispondere senza sapere se le informazioni che riveleremo (soprattutto se siamo anche donne, persone trans e/o non binarie) siano in buone mani, e se dopo ci etichetteranno per sempre in base alle pratiche a cui abbiamo partecipato. In alcuni casi può farci sentire minacciat3 anche nella nostra incolumità.

Non solo è il contrario di un safe space, è anche cultura dello stupro talmente normalizzata da diventare invisibile.

Che esagerazione! E perché mai una persona senza problemi irrisolti con la sessualità dovrebbe tenerci tanto ai preamboli prima di intavolare l’argomento?”, chiederà qualcunǝ.

Perché nella sua forma classica perpetua il mito secondo cui “se non hai provato anche con gli uomini non puoi dichiararti bi”

Per “forma classica” intendo una situazione in cui quasi tutte le donne saffiche si sono trovate in vita loro: uomini etero, solitamente anche cisgender, che chiedevano se avessero mai provato o se farebbero una threesome (corollario: con loro).

Di solito queste domande sono non sollecitate, non c’è un contesto di intimità emotiva a giustificarle, e se ne fregano di quanto facciano sentire a disagio e disgustate le donne che le ricevono. Lo scopo dietro alla “legittima e innocente curiosità” sbandierata è quello di soddisfare una fantasia erotica in cui lui è comunque il protagonista “beato tra le donne”, come si dice dalle mie parti.

Per la vulgata comune sembra che sia donne sia uomini bi (e talvolta pure bisessuali enby!) per avere “la certezza” di essere tali non possano proprio fare a meno di un pisello (tanto sempre lì andiamo a parare, lasciando fuori gli uomini transmascolini senza Bottom Surgery…).

Per la vulgata comune, inoltre, le donne bi sarebbero anche “meno rivoluzionarie” di quelle lesbiche, lasciando sempre un margine di apertura ai guardoni che le vorrebbero super disinibite e disponibili, per infilarsi dove non gli compete e ricondurre comunque alla loro presenza “indispensabile” una vita sessuale appagante e “completa” per le suddette.

E potrebbe essere altrimenti, muovendoci in un mondo tarato su misura dei desideri, delle esigenze e del bisogno di rassicurazione sulla propria onnipotenza degli uomini cis etero?

In questo scenario non c’è una mutua condivisione in cui entrambe le parti ne escono arricchite e si contribuisce a sfatare qualche mito sulla bisessualità – su come le persone bi vivano e sperimentino la realtà, inclusa la realtà sessuale. C’è soltanto lui ed il suo ego.

E spero di non dover spiegare il perché ricondurre la sessualità saffica alla soddisfazione dell’ego e delle parti basse degli uomini feticisti sia problematico.

Perché riverbera del preconcetto secondo cui se scegliamo di stare con una sola persona “abbiamo scelto da che parte stare” al posto di provare amore e desiderio per quella persona in particolare

Forse è il caso di ricordare che qui su Orgoglio Bisessuale ci rifacciamo alla definizione di bisessualità data dal Bisexual Manifesto in Anything That Moves:

“Non date per scontato che la bisessualità sia binaria o duogama per natura; che abbiamo ‘due’ facce o che dobbiamo avere simultaneamente relazioni con entrambi i generi per ritenerci soddisfatti come esseri umani. In verità, non date per scontato che esistano solo due generi.”

E a quelle di Robyn Ochs:

“Mi definisco bisessuale perché riconosco di avere in me la potenzialità di essere attratta – romanticamente e/o sessualmente – da persone di più di un genere, non necessariamente nello stesso momento, non necessariamente allo stesso modo, e non necessariamente con la stessa intensità.”

“Per me, la bi in bisessuale si riferisce alla possibilità di attrazione per persone dai generi simili o diversi dal mio.”

È ridicolo pensare che essere bi sia dimostrabile solo facendo orge con persone di tutti i generi che ci attraggono. È ridicolo pensare che una persona bi e poliamorosa debba limitarsi per forza a fare orge in continuazione per essere “vera”, come se qualche volta non si verificassero circostanze in cui il sesso è a due, o si soddisfa da sola. È ridicolo pensare che una persona bi e monogama abbia scelto “una sponda” (all’insegna del linguaggio binarista, poi) e non “una persona”.

Alle persone monosessuali non viene richiesto di “dimostrare” la loro attrazione per un determinato genere stando con almeno una persona bionda, una bruna, una rossa, una mora, una dai capelli fluo, una calva di quel genere o sennò “non hanno davvero coperto tutte le possibilità” ed è “evidente che l’attrazione per i colori di capelli lasciati fuori dall’equazione non sia autentica”.

La bisessualità è già abbastanza cancellata sia dentro sia fuori la comunità LGBTQIA+, le persone bi dopo un coming out si trovano a fare i conti con scetticismo e dubbi interiorizzati ben più di quelle gay e lesbiche. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di stabilire quanto combaciamo con uno stereotipo per legittimare la validità del nostro orientamento.

Non ha alcuna importanza se la persona bi che avete davanti abbia fatto, voglia fare o faccia sesso a tre, quattro, cinque, fino all’infinito, o si limiti a farlo con una persona alla volta. Se lo date per scontato e lo chiedete solo a lei in quanto bi è per un preconcetto. Se ai vostri occhi non è “abbastanza bi” senza aver fatto questa pratica in particolare è anche una forma di controllo e di invalidazione bifoba.

Perché insistere per sapere se ci fosse anche una persona di genere diverso/con genitali diversi dai nostri suggerisce subdolamente che non siamo “abbastanza gay/queer” e che ci sia sempre “un briciolo di speranza per l’eterosessualità/normalità”

È già abbastanza svilente sapere che per alcune persone cisnormate i genitali siano un buon parametro per stabilire identità di genere e sesso anatomico dell3 nostr3 partner, escludendo così le persone trans e intersex. È ancora peggio quando a genitali diversi o a un genere diverso si equipara anche l’essere “meno radicali” e “un po’ più vicin3 all’eterosessualità/normalità” rispetto alle nostre controparti gay e lesbiche.

Se c’è una cosa che l’essere bi può insegnare è proprio a non avere un’identità chiusa, in rigida contrapposizione a quella ritenuta “standard”, dove si può essere qualcosa o il suo esatto contrario, fare la rivoluzione o essere conniventi con chi ci opprime.

Ma è proprio della mente e non della natura umana creare compartimenti stagni in cui incasellare la sessualità. Stante tutte queste cose, essere un coacervo di esperienze, sfaccettature identitarie e vari coming out che hanno rappresentato più parti di sé, a oggi, non è solo profondamente umano, ma anche rivoluzionario.

Perché viviamo in un mondo che di solito alla positività sessuale risponde con la misoginia

Sì, lo sappiamo che “non tutte le persone che chiedono alle donne saffiche se abbiano mai fatto una threesome sono misogine”. Proprio come sappiamo che “non tutti gli uomini sono violenti”. Ma sono violenti fin troppi uomini, avallati da persone di altre identità di genere ancelle del patriarcato.

Quando la cultura dello stupro è forte, è quasi inevitabile che sesso e violenza si incrocino, e troppo spesso avviene a discapito della sicurezza delle donne.

Viviamo in un mondo in cui, parafrasando Joumana Haddad in Superman è arabo: su Dio, il matrimonio, il machismo e altre invenzioni disastrose, ci sono politici egiziani (e non solo egiziani…) che fanno mostra di difendere l’emancipazione femminile ma non perdono occasione di molestare tutte le donne che gli capitano a tiro, perché di fatto le vorrebbero solo più disinibite e più facili da portare a letto.

Viviamo in un mondo in cui se una donna subisce revenge porn al termine di una relazione diranno che avesse sbagliato lei a mandare certe foto, in cui protestare per il catcalling è giudicato da frigide stronze, in cui lo stalking è giustificato come “la manifestazione di interesse di un uomo passionale ma timido” (se sconosciuto) o come “la tenacia di un uomo innamorato che non voleva rinunciare a lei” (se conosciuto).

Viviamo in un mondo in cui le donne interiorizzano messaggi che fanno a pugni tra di loro: devi essere sexy ma non sfacciata, devi essere indipendente ma non sei nessuna se sei single, devi essere desiderabile ma fare sesso solo secondo i parametri ritenuti socialmente accettabili, devi sapere cosa vuoi ma devi aspettare che siano gli uomini a capirlo e a dartelo, devi essere forte ma nascondere la tua forza, devi essere piena di curve ma magrissima, devi cercare la compiacenza degli uomini ma dire di fare tutto di testa tua…

Viviamo in un mondo intriso di Male Gaze, talvolta interiorizzato anche dalle donne saffiche, e dove l’oggettificazione e l’autooggettificazione dei corpi delle donne le rende più facilmente preda di relazioni violente, abuser e molestatori. In cui i loro no sono passati al microscopio, le loro motivazioni per rifiutare delle avances indagate per trovarci del marciume, le loro testimonianze su episodi sessisti svilite anziché prese seriamente.

Nei casi estremi alle donne saffiche viene “imposto” di farsi piacere il genere maschile attraverso la pratica agghiacciante degli stupri correttivi, che non solo non hanno mai funzionato, ma sono anche a conti fatti una punizione per aver osato esprimere una sessualità che esula dal controllo maschile.

La stessa orribile pratica viene riservata anche alle donne attratte dagli uomini che però non hanno “rigato dritto” sotto altri punti di vista (si sono concesse/hanno rifiutato gli uomini sbagliati, si sono ribellate all’autorità patriarcale, hanno voluto decidere per se stesse, porre fine o evitare unioni infelici e forzate, hanno voluto più autonomia sulle proprie scelte lavorative, riproduttive, esistenziali, talvolta semplicemente sono venute al mondo).

Viviamo anche in un mondo che ancora giustifica l’omicidio d’onore/femminicidio definendolo un “raptus”, ed è particolarmente crudele nel dare addosso alle vittime se queste non erano eterosessuali.

Impensabile che a un livello sottile questi fatti non influenzino le donne, non facciano loro chiedere “Come finirà?” quando si trovano situazioni che anche da lontano ricordano questi casi, e talvolta non le rendano ipervigilanti quando devono entrare nel dettaglio di cose intime.

Anche se per voi quella che avete posto fosse una semplicissima domanda, anche se non aveste nessuna di queste storture in testa, ignorare la realtà in cui le donne sono immerse, giudicarle delle bigotte o prendersela se manifestano disagio e rifiutano di rispondere è molto poco lungimirante ed empatico. Ricorda anche molto da vicino gli uomini che non accettano un no come risposta.

Non esattamente un toccasana per un dialogo che dovrebbe essere da pari a pari, vero?

Perché viviamo in un mondo dove a causa della mascolinità tossica la prestanza degli uomini è ancora scrutinata

Secondo l’ottimo documentario La maschera che indossi, e come ho avuto già modo di scrivere altrove, l’identità virile è meno fluida di quella femminile e si caratterizza principalmente da ciò che un uomo non deve essere (cioè non deve assomigliare a una donna e non deve avere tutte quelle caratteristiche che lo renderebbero una “femminuccia”). Tuttavia, pochissimi dettami molto chiari del patriarcato si possono trovare: un vero uomo (macho) dev’essere fisicamente prestante, avere tanti soldi e possedimenti, e soprattutto scopare spesso e con successo (in particolare con le donne).

Inevitabilmente alcune di queste idee possono annidarsi nel cervello anche degli uomini queer ed achillei, e inevitabilmente questo conduce a preconcetti ed emarginazione degli uomini bisessuali e/o biromantici che non combaciano con certi standard.

Quelli che non hanno un’espressione di genere stereotipicamente virile, a letto non sono abbastanza “attivi” e non hanno provato “entrambi i generi” (ancora col binarismo di genere…), magari pure in una threesome, è più facile che siano tacciati di “omosessualità repressa”. E quelli che combaciano con lo stereotipo? Sono più facilmente vittime di Pegasus Hunting, naturalmente.

In sostanza, gli uomini bi come la fanno la sbagliano. E purtroppo, visto che non subiscono lo stesso sguardo ipersessualizzante delle donne bi dalla società massificata, e la loro oppressione si vede soprattutto in prodotti di nicchia destinati a uomini gay (nell’accusa di essere gay repressi) o a donne etero (nel Pegasus Hunting), non ci sono manco abbastanza studi a demistificarlo.

Quando viene loro chiesto se abbiano partecipato/parteciperebbero oppure no a un rapporto con tre o più persone, come fanno a sapere se dalla risposta non dipenderà anche la loro “credibilità” come bisessuali e/o biromantici, e che non saranno bersagli di attacchi, eventuale Bottom Shaming, cancellazione o altre forme di oppressione bifoba? Come fanno a sapere che non sarà a rischio anche la loro “virilità”, secondo criteri che sono stati loro imposti dall’esterno? E se anche fossero a proprio agio a rispondere la maggior parte delle volte, perché darlo per scontato?

Perché viviamo in un mondo che ancora feticizza persone questioning, transgender e/o non binarie

Una significativa percentuale di persone trans, gender non conforming, non binarie e questioning è anche sotto l’ombrello bi. Molt3 si identificano come bisessuali, pansessuali, polisessuali, omnisessuali, non monosessuali, o altro ancora. Ci sono pochi studi al riguardo, ma quelli che ci sono attestano che in questo modo subiscano una doppia discriminazione.

Sì, perché in aggiunta alla problematicità di soddisfare la curiosità morbosa della loro vita sessuale come persone bi ci devono mettere anche la feticizzazione e la disumanizzazione costante delle persone T in un mondo transfobo!

Che dire del fenomeno dell3 Trans Chasers, che le cercano solo per soddisfare la propria voglia di trasgressione? O di coloro che “le provano” per “schiarirsi le idee sul proprio orientamento sessuale”, e le scaricano senza alcun riguardo dopo? O dell’assunzione secondo cui sarebbero tutte “esperte” e “sex worker” (soprattutto le donne trans o le persone transfem), e perciò in un’intersezione di slut shaming e transfobia le si ritiene adatte solo all’ambito sessuale?

O di chi le tratta come un esperimento, una moda, una minaccia, un pericolo per le persone cisgender, sebbene si sia constatato che gli Stati americani più conservatori e propensi alle leggi anti trans siano i più grandi consumatori di porno trans?

Non è mica strano: a forza di oggettificare ed esoticizzare una persona, riducendola alle parti del suo corpo che scatenano i bollori, smetterà di esistere in quanto persona e diventerà solo “una strana creatura che affascina proprio per la sua stranezza”! Tanto vale tenerla alla larga, ghettizzarla ed escluderla, prima che si perda il controllo saltandole addosso!

Eppure quelle sempre in cerca di trasgressione, promiscue e pericolose per la retorica transfoba sarebbero proprio le persone trans, enby e gender non conforming. Pensate un po’ se sono pure bi.

Perché viviamo in un mondo allonormato dove anche le persone ASPEC possono sperimentare stupri correttivi e tentativi morbosi di riportarle sulla “retta via”

La nostra società ha un’ossessione per il sesso, per come lo facciamo, con chi, quanto spesso. Il sesso genera al contempo repulsione e attrazione irresistibile, e lo si investe di un potere sia salutare/di rivendicazione sia malsano/di dominio.

Per questo ha un’ossessione anche per coloro che non lo desiderano o lo desiderano molto poco/in modo discontinuo. Chiunque sia ASPEC (nello spettro dell’asessualità e/o dell’aromanticismo), oppure chiunque abbia osato affermare di non averne altrettanto bisogno della maggioranza, sembra aver commesso un peccato inaudito. Personalmente l’ho sempre visto come un’invidia malcelata: “Come si permettono, queste persone, di poterne fare a meno e di non ricercarlo altrettanto spesso, quando io ne sono incapace e me ne vergogno?”

Non molto dissimile dal “Come si permette questa persona di non essere attratta da me, quando invece a me attrae moltissimo? Come si permette di rifiutarmi, di non esistere in funzione dei miei desideri?”

E indovinate un po’? Moltissime persone sotto l’ombrello ace sono anche biromantiche, e hanno un’ulteriore intersezione di discriminazioni a loro carico. Esistono anche persone aroace (quindi sia asessuali sia aromantiche) che dichiarano di provare rara o circoscritta attrazione per persone di due o più generi.

Non è raro che anche loro siano state “convinte” con la forza a provare il sesso, siano state preda di coercizione e violenza, si sia invalidato il loro sentire (proprio come per le persone bi), siano state invisibilizzate e infantilizzate (di nuovo, come per le persone bi) e siano state ritenute “malate” o “bizzarre”. Anche la vecchia guardia dell’attivismo omosessuale ha dimostrato di non comprendere minimamente le loro istanze, incluso Giovanni Dall’Orto.

Spero sia chiaro che certe domande, se poste dando per assunto che chi è biromanticǝ debba per forza attenersi a determinate pratiche sessuali stereotipate, senza pensare alle relazioni queerplatoniche, all’anarchia relazionale (molto comune ma certamente non esclusiva di questa realtà), alle mille combinazioni di amore e desiderio non rigidamente codificate, escludano anche la comunità ASPEC. Spero sia chiaro che l’allonormatività (dare per scontato che proviamo tutt3 attrazione sessuale in modo continuo, stabile e che il bisogno di sesso sia per noi irrinunciabile) è uno dei modi in cui si esprime l’afobia.

Rete Lettera A, il progetto AUREA, attivist3 come Aroacefox stanno facendo un ottimo lavoro di divulgazione, ma c’è ancora moltissima strada da fare.

Perché non esistiamo per diventare oggetto di fantasie erotiche altrui

Sia chiaro: esistono persone bi che non hanno alcun problema a essere feticizzate (sarebbe interessante capire se c’entri qualcosa la mancanza di validazione esterna e la bifobia interiorizzata, ma per il momento prendiamone solo atto). Ed esistono persone bi che sono a loro agio con l’essere la fantasia erotica di chiunque incontrino, rispondendo a qualunque domanda indiscreta venga loro fatta. Questo articolo, quindi, non le rappresenterà.

Ma come regola generale, volere un po’ di controllo su una parte della propria identità è sacrosanto per qualsiasi essere umano. E chiunque dovrebbe poterlo fare senza subire gaslightning, microaggressioni, normalizzazione della prevaricazione, invalidazione della propria prospettiva in nome di una positività sessuale che di fatto viene strumentalizzata per promuovere un’altra forma di oppressione.

Perché le persone bi hanno tutte le ragioni per avere un margine di sospetto sulla loro sicurezza

In quest’altro mio articolo ho riportato una lista notevole di studi che dimostrano che le persone bisessuali e/o biromantiche sperimentano tassi di violenza significativamente più alti di quelle monosessuali e/ monoromantiche nelle loro relazioni intime. Pesco anche a mani basse da lì:

La retorica del “Love is Love” non può applicarsi alle persone bisessuali, visto che le relazioni che intrecciano possono a loro volta essere terreno di discriminazioni. L’esperienza bi è diversa da quella gay e lesbica da questo punto di vista, ed è per questo che molte persone bi hanno difficoltà a fare coming out anche con coloro che amano e dovrebbero riamarle. C’è chi chiede addirittura che bisogno abbiano di dichiararsi bi quando stanno con persone etero: mah, chissà, per sport o perché chi ci ama dovrebbe conoscerci per come siamo davvero?!?

Dunque il minimo che si possa fare per sostenerle è avere accortezza riguardo alle boundaries che cercano di mettere quando devono aprirsi sulla loro attività sessuale. Senza dar loro delle malfidate, prendere un diniego sul personale e colpevolizzarle per il contesto più ampio che le ha già danneggiate.

Perché essere queer e sex positive non equivale ad avere i paraocchi rispetto al contesto più ampio in cui siamo calat3

Credevate che questi problemi ci fossero solo con la comunità cis etero?

Ovviamente no, accade anche in spazi queer e femministi, che si riempiono la bocca di sex positivity e rispetto del consenso ma hanno parecchio da decostruire tra oggettificazione, atteggiamenti prevaricatori, egoismo e altre brutte facce della cultura dello stupro!

Ma come, se siamo tutte persone queer che sfidano il patriarcato, e il suo controllo dei nostri corpi e dei nostri desideri, non dovremmo parlare sempre di sesso senza filtri?”

No, perché sfidare il patriarcato è anche riconoscere l’enorme lavoro che abbiamo da fare per evitare di far esplodere il nostro ego, i nostri desideri e il nostro vissuto addosso alle altre persone, fregandocene dei sentimenti che provano al riguardo!

Se come comunità vogliamo sviluppare più sensibilità ed empatia e un maggior senso analitico sul rispetto delle differenze delle persone, non dovremmo dare per scontato che il resto del mondo debba allinearsi sui nostri stessi parametri di “argomento affrontato in modo tranquillo” e “argomento affrontato in modo insidioso. Non dovremmo dare per scontate le esperienze pregresse di bifobia, afobia, omofobia e transfobia della gente, e anche in caso di esperienze simili non dovremmo dare per scontato che chiunque debba reagire come noi, perché solo la nostra reazione è quella giusta.

Inutile girarci attorno: esistono uomini che si definiscono femministi ma lo usano come una scusa per obbligare le donne che desiderano a parlare della loro vita sessuale ogni volta che gli gira, sennò “hanno ancora molta sessuofobia interiorizzata da smaltire”.

Esistono persone queer che si definiscono emancipate e sessualmente liberate, eppure utilizzano le confidenze delle fantasie dell3 loro partner per far loro slut shaming quando si lasciano.

Esistono persone queer che dicono di non avere preconcetti sul sesso, eppure non sanno accettare un no come risposta.

Esistono persone queer che ritengono di essere a buon punto nel decostruire il machismo e il binarismo di genere, eppure non si azzarderebbero mai a fare certe domande a persone di una certa identità di genere rispetto ad altre.

Esistono persone queer (mi verrebbe da dire molti uomini cis gay, ma sarebbe sbagliato, solo perché ne ho conosciuti io non significa che altre persone queer ne siano immuni!) che al grido del proprio esibizionismo e della propria arroganza rovinano spazi che dovrebbero essere sicuri imponendo la loro visione di accettabilità di soprannomi con un sottotesto sessuale da dare all3 altr3, domande sui genitali, assunti sulle pratiche preferite di chi hanno davanti, e stereotipi che “dovremmo usare per divertirci”.

Esistono persone queer che si nascondono dietro a un’amicizia e cercano di estorcere informazioni sulla vita sessuale delle persone queer che vorrebbero portarsi a letto, rendendo la conversazione morbosa e ficcando il naso dove non devono, perché lo scopo recondito non è quello tranquillo e innocente che hanno dichiarato.

Esistono persone queer che non sono abbastanza introspettive da chiedersi se stiano facendo certe domande per sdoganare la positività sessuale oppure per sentire di avere potere su chi deve rispondere, se stiano parlando in un certo modo perché lo farebbero con chiunque oppure se eviterebbero senza un interesse romantico/sessuale nascosto per la persona che hanno davanti, se stiano avendo una chiacchierata sul sesso in cui lo scopo è chiaro e condiviso o se la stiano usando per ottenere una soddisfazione segreta, se la persona che hanno davanti sia a suo agio sapendo di essere oggetto delle loro fantasie masturbatorie oppure no.

Tutto questo rende il terreno sdruccioloso, irto di difficoltà, ed è molto disonesto nascondersi dietro a un dito perché “credo solo che in un safe space non dovremmo avere alcun problema con il sesso”.

La mia risposta sarebbe “Ah, dunque i confini personali sarebbero un problema? Male, molto male.”

Proprio come noi vogliamo sentirci al sicuro e in libertà, anche le altre persone dovrebbero poter sperimentare la stessa cosa. E questo secondo i loro criteri personali, che possono non collimare coi nostri.

Conclusioni

Personalmente sono convintissima che vivremmo molto meglio se quando comunichiamo desideri e fantasie sessuali avessimo la certezza che l’altra parte sia altrettanto a suo agio a rispondere, e in caso di dubbi se le chiedessimo prima se le stia bene. Credo che vivremmo anche meglio ricordando che i nostri desideri non dovrebbero mai andare a discapito dei bisogni delle altre persone. Del resto, il consenso dovrebbe essere una pratica da allenare molto prima di arrivare in camera da letto, in molti ambiti della vita, e molto prima di raggiungere la pubertà.

Per quanto si possa essere sex positive, attivist3, o avere anche solo piacere di demistificare la questione, questo non dovrebbe mai rendere il rispetto delle nostre boundaries più poroso e facile da aggirare.

È fallace non rendersi conto di quanto le donne sex positive e le persone LGBTQIA+ siano ipersessualizzate e demonizzate nella società ciseteroallomononormata in cui viviamo. È fallace non pensarci affatto prima di chiederlo. Ed è ancora più fallace, in un mondo che feticizza i nostri desideri e il nostro piacere, credere che qualunque tentativo di stabilire un confine sia pruderie ipocrita e ingiustificata.

Non c’è un altro modo di metterla: essere sex positive non significa non aver diritto alla privacy, alle boundaries e all’autopreservazione quando siamo a disagio con le domande stereotipate sulla conformazione dei nostri genitali, posizioni, pratiche sessuali e qualunque argomento sotto il sole.

Ed essere sex positive significa, di fatto, comprendere le intersezioni della discriminazione per non avere un rispetto di facciata, ma reale, per le persone bisessuali e/o biromantiche. Con una consapevolezza profonda di ciò che attraversiamo sia in quanto comunità marginalizzata sia in quanto persone singole con i più disparati vissuti, che talvolta toccano anche altre identità marginalizzate.

Come persone bisessuali e/o biromantiche non siamo degne di rispetto, ammirazione o validazione solo per i “sì” che pronunciamo. Lo siamo anche per i nostri “no”.

E chiunque provi a convincere del contrario sta cercando di fare sovradeterminazione, senza preoccuparsi minimamente dello squilibrio di potere a suo vantaggio.

Il che è l’esatto contrario del consenso sicuro, entusiasta e sempre revocabile che dovrebbe essere alla base dei nostri valori condivisi.

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