Riappropriarmi del mio corpo – Intersezionale

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Michele Bravi in “Storia Del Mio Corpo” canta:

Il mio corpo ha una storia di paura addosso

E lo vedo chiaramente in ogni gesto”

Il mio corpo non mi è mai appartenuto, è sempre stato proprietà di chi ne ha fatto scherno, di chi ha deciso per me cosa non avrei potuto farci.

L’ho sempre considerato l’involucro della mia anima, come se fosse qualcosa di estraneo a me, come se non fosse mio, come se fosse un oggetto di per sé inanimato.

Ho sempre subito bullismo e ho sempre pensato che fosse colpa del mio corpo, di conseguenza l’ho maltrattato e l’ho odiato.

Il mio corpo non rispondeva alle richieste del ciseteropatriarcato: troppo formoso per essere considerato androgino, troppo grasso per essere appetibile per gli uomini, un punto di debolezza se qualcuno si fosse avvicinato a me perché poi avrebbe preferito corpi più magri e meno pelosi, toglievo la maglietta e poi esplodevo a piangere temendo di poter far schifo.

E l’ho sentito urlare vivimi, vivimi, vivimi

Ti prego bruciami come fiammiferi

Ho gli occhi così assenti

che tu mi dici quasi non esisti”

Il mio corpo è sempre stato oggetto di continue recensioni, poi ho iniziato a riappropriarmene, spostando il focus della mia rabbia dal mio corpo alle persone che lo recensivano, successivamente direttamente al sistema che lo vuole perfetto e performante.

È INIZIATA LA PRESA DI COSCIENZA.

Il mio corpo non deve essere accettato, non voglio la pietà di chi cambia gli standard in nome di una body positivity annacquata e depoliticizzata: esso è un corpo intrinsecamente queer e io pretendo lo spazio e il rispetto che mi si deve di diritto, anche se non mi viene dato di default.

Lo standard dei corpi belli non va allargato ad un numero ristretto di persone, va completamente abbattuto.

L’oggetto estraneo che ricopre la mia anima pian piano è diventato sempre più mio quando ho capito che io sono il mio corpo e che esso non è il “prima” di nessuna stravolgente rivoluzione dell’aspetto, al massimo è uno step di un’evoluzione continua.

E l’ho spogliato e dato al vento come una bandiera

L’ho aperto e chiuso come avesse dietro una cerniera”

Alla riappropriazione del corpo ho poi fatto coincidere i coming out come bisessuale, non binary e poliamorosə che mi hanno portatə ad una riflessione sulla queerness e sul mio corpo come arma per la lotta politica.

Mi hanno portatə a realizzare che il mio corpo non deve essere appetibile per gli uomini, che un ragionamento del genere è già sbagliato, diventa persino più grave se si pensa al male gaze di default, non sono un prototipo in tela pronto per il campionario di un’azienda che deve essere sdifettato e proposto alla clientela. 

Ho realizzato che io non devo androginia a nessuno e che il mio corpo deve essere autodeterminato, libero di essere coperto o scoperto di abiti, che i miei peli neri, le mie smagliature, le mie cosce flaccide e il mio seno cadente non devono essere la mia vergogna, che non voglio più essere invisibile, modestə e defilatə e che ora mi prendo lo spazio che mi spetta.

Il coming out come polyam, invece, mi ha fatto realizzare che l’unico corpo che mi appartiene è il mio, quindi avere più partner non abbasserà il mio valore perché non potrà essere di nessun’altra persona, allo stesso tempo non mi appartengono quelli dei partner, né devo dimostrare di avere un corpo che può essere considerato migliore degli altri, non è una competizione.

Il mio corpo è il mio mezzo per stare al mondo, la mia arma per essere out, loud and proud. 

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