Marzo è dal 2014 il Mese dell’Attenzione alla Salute Bisessuale e il 31 di questo mese è Giornata Internazionale della Visibilità Transgender.
Della possibilità di intersezione tra le due comunità ne avevamo già parlato qualche mese fa (https://www.intersezionale.com/…/lalleanza-bi-e-trans…/) ma vorremmo ora raccontarla attraverso le esperienze di sei persone trans e/o non binary e bisessuali che hanno risposto ad alcune domande che abbiamo posto, mentre qualche sera fa eravamo intorno ad un tavolo con pizze vegan e birra, da cui è nata una bella conversazione.
“Vi identificate come transgender e con qualche orientamento sessuale o romantico sotto l’ombrello bi+? I due coming out sono stati per qualcunə di voi collegati?”
Lə primə a rispondere è Seok, persona agender, che si identifica sia come transgender che come non binary, ci spiega che in alcuni contesti non abbastanza safe deve presentarsi col genere maschile. È bisessuale e talvolta sulle dating app utilizza anche pansessuale.
Il coming out con se stessə è arrivato intorno ai 16 anni, sente di essere statə attrattə da qualsiasi genere da che ne ha memoria, poi col tempo e con la formazione nel mondo queer ha preso consapevolezza dello spettro dell’identità di genere analizzando il suo vissuto e dopo un annetto di riflessione, intorno ai 23 anni ha capito di essere trans.
Anche Car è agender e bisessuale. Se sull’orientamento è sinteticə nella risposta specificando che crede nella rivendicazione politica del termine, per l’identità di genere snocciola a fondo la questione.
Si ritrova più nell’etichetta non binary rispetto a quella trans poiché si porta dietro la pesante zavorra della sindrome dell’impostore, molto probabilmente dovuta alla forte ideologia transmedicalista che narra le persone trans come necessitanti sempre delle terapie ormonali e di vari interventi chirurgici, perché nonostante la sua esperienza con la disforia non vuole ricorrere al percorso troppo spesso considerato standard dall’associazionismo mainstrem. Vive come opprimenti sia la mascolinità che la femminilità, ma allo stato attuale non esistono terapie per il corpo che vorrebbe. L’estetica che sentirebbe più sua si avvicinerebbe all’androginia e alla neutralità.
Segue Alice, donna trans, che però non sente di rientrare esattamente nel binarismo di genere.
Nel suo caso prima ha capito di essere trans e poi di essere bisessuale.
A proposito della scoperta della sua bisessualità dice:”Immaginiamo la bisessulità come una scatola enorme e sconfinata, puoi esserci dentro e non saperlo. Puoi girarci dentro senza mai vedere una parete e se dovessi trovarne una non sai se è la fine della scatola o l’inizio di un’altra”. Specifica che dall’inizio della sua transizione si è soffermata molto sulla definizione della sua sessualità e la metafora delle scatole l’aiuta a descrivere quanto quelle monosessuali le stiano strette e in quella bisessule si senta più a suo agio perché ha davvero tanto spazio.
Andrea, invece, si identifica come non binary e come bisessuale. Il suo coming out da bi è arrivato molto prima del coming out non binary, eppure sente l’identità di genere e l’orientamento sessuale molto legati tra loro. Racconta che col suo orientamento ha avuto la possibilità di esplorare il genere in un’ottica più aperta che andasse oltre il binarismo di genere consentendo di trovare se stesso.
Alex è trans, sente suo l’ombrello delle identità di genere non binarie e nello specifico è genderqueer. Anche lei, come Seok, definisce il suo orientamento sessuale sia come bisessuale che come pansessuale.
Pure nel suo caso il coming out sull’orientamento sessuale è arrivato molto prima di quello dell’identità di genere, ma non li sente collegati.
L’ultima persona a rispondere è Ari, dice di sentirsi molto vicinə alla comunità transgender, è una donna non binaria, si definisce così anche per un motivo politico perché rivendica la misoginia subita pur non percependo come propria un’identità di genere prettamente femminile. Ci tiene anche a specificare che sa di essere in una posizione di privilegio perché non sentendo la necessità di un percorso medicalizzato e legale non rischia la vita dovendo fare lo slalom tra la mancanza di ormoni, le liste d’attesa per le operazioni e gli infiniti tempi della burocrazia, che comunque non prevede la possibilità di un’opzione che non sia “M” o “F” sui documenti.
È bisessuale e panromanticə, utilizza la prima etichetta perché è “proud” di far parte del movimento che è per ləi fondamentale, mentre la seconda le serve per spiegare meglio che la sua attrazione romantica va aldilà di qualsiasi cosa possa essere riconducibile ad un genere specifico.
Ci racconta di aver fatto coming out come bisessuale a 19 anni e che l’affermazione dell’identità di genere è arrivata dopo tre anni, quando si è accortə di non avere una definizione del concetto di “genere” per la sua attrazione nei confronti delle altre persone, ma di non averlo neanche per se stessə.
“Vivete un’intersezione tra orientamento sessuale e identità di genere?
È capitato di subire gatekeeping, gaslighting o altre discriminazioni in modo simile per l’una e l’altra cosa e che ciò si riversasse sulla vostra salute?”
Andrea risponde immediatamente in maniera diretta dicendo ci sono state volte in cui il suo orientamento sessuale e il suo genere venivano invisibilizzati, talvolta con un intento esplicitamente discriminatorio.
Alex ci racconta che ha subito gatekeeping. Spesso sia l’orientamento sessuale che l’identità di genere, uscendo dai binarismi uomo-donna ed etero-gay e potendo potenzialmente scardinarli, non vengono percepiti come sufficientemente validi, o sufficientemente queer. Viene definita cis ed etero, cancellata come genderqueer perché agli occhi altrui “passa per uomo” e cancellata come bisessuale poiché il suo orientamento sessuale viene erroneamente basato sulle persone che frequenta perché “sembrano” donne.
Interviene Alice dicendo che in effetti dal coming out come persona trans e una volta iniziato il percorso (non solo medicalizzato, il suo percorso è iniziato ancor prima col coming out) ha iniziato a vivere in maniera più serena e libera da stereotipi di genere la sua sessualità: “Rotto un binarismo, ho rotto pure l’altro”.
Riprende parola Seok dicendo che non ha mai vissuto l’intersezione dei due percorsi se non al culmine del suo scoprirsi non binary, che potrebbe dire che la sua visione del genere, più che fluida, è sempre stata molto areosa. Sia per come vedo le altre persone, sia per come vede se stessə. Ed è sicuramente questa l’intersezione.
Ci racconta di aver subito anche varie accuse e obiezioni.
La prima sicuramente quella di non potersi definire bisessuale se ləi stessə è non binary, ricorda che non è così perché i significati delle parole cambiano e la bisessualità non è binaria per definizione già dagli anni ’90.
La seconda è forse quella più vissuta perché notiamo che tutte le teste fanno su e giù in senso di approvazione, ovvero quella di essere impostori e predatori che si appropriano di spazi queer, ma il movimento bisessuale non è un teatrino che dura anni, piuttosto porta avanti lotte per evidenti difficoltà.
E poi il misgendering, ovvero il mancato rispetto dell’identità di genere e dei pronomi scelti, dice di essere statə “sotterratə” più di una volta:”Specie quando la senti ripetere, più e più volte, da persone a cui tenevi. Con il chiaro intento di ferirti poi. Sì magari la mia idea di genere è areosa, ma non spetta certo agli altri definirla. Non è sempre e solo questione di parole o etichette. È il senso di essere sovradeterminatə, scavalcatə e di essere deumanizzatə che mi distrugge e mi ha distruttə più volte.”
A questo punto interviene Car ci dice che vive l’intersezione tra l’essere bisessuale e non binary proprio per le comuni discriminazioni e invisibilizzazioni. Per l’orientamento sessuale si subisce il monosessismo ogni volta che non si parla della bisessualità, delle istanze del movimento, della salute delle persone bi+, ogni volta che si considerano impostore, traditrici della comunità, 50% attratte da donne e 50% attratte da uomini, o si accusano di essere binarie ed escludenti.
D’altro canto, per le identità di genere non binarie c’è l’esclusione istituzionalizzata dell’attenzione alla salute, il menefreghismo dello Stato per quanto riguarda il microdosing, ma anche la ricorrente invisibilizzazione dagli spazi trans istituzionalizzati.
Sorride Ari, con l’aria di chi solitamente è davvero poco sinteticə, ma stavolta ha già la frase da intervento politico di piazza pronto: “La sindrome dell’impostore ci ammazza ogni giorno, perché dobbiamo lottare per avere voce e farci sentire bene da chi dice che non siamo abbastanza ricchi*ni per questa lotta!”
C’è un sorriso generale, hanno già sentito Ari pronunciarlo più volte, evidentemente.
Percepiamo che per adesso la conversazione può finire qui, è trascorsa più di un’ora, passiamo al secondo giro di birra.