
Spesso si parla dell’acronimo come di qualcosa di antiquato, ridicolo, pesante, complesso o comunque poco utile alla comunità.
In realtà, nella storia del movimento per i diritti civili si tratta di uno strumento molto utile per esprimere il concetto che diverse realtà, che hanno le loro differenze e le loro affinità, possono combattere fianco a fianco per l’ottenimento dei diritti e la rivendicazione delle proprie identità.
Parte della confusione che gira intorno all’acronimo e ai suoi elementi risiede nel fatto che spesso queste definizioni vengono ritenute completamente oggettive o completamente soggettive, a seconda delle persone con cui si parla, questa confusione è simile a quella parliamo quando trattiamo della tripartizione dell’orientamento sessuale, di cui ci occuperemo in un altro post. Questo porta all’esistenza di una miriade di differenti versioni, alcune più brevi (LGBT, LGBT+), altre più lunghe (LGBTQQIAA2PK+), altre più pronunciabili (QUILTBAG) e altre che tentano di prendere un approccio completamente differente (MOGAI).
Chiaramente non possiamo decidere noi quale sia l’alternativa migliore tra tutte queste, ma ci teniamo ad offrire la nostra prospettiva in materia.
Mentre le singole definizioni sono spesso più soggettive che oggettive, dal momento che ognun* sceglie la più appropriata per sé in quel momento della propria vita, il nostro parere è che l’acronimo abbia una valenza più condivisa che personale, dal momento che viene utilizzato per parlare della comunità e quasi mai degli individui (è infatti raro sentire qualcuno dire cose come “io sono LGBTQIA”), e per questo motivo è più appropriato considerarlo un insieme di ombrelli sotto i quali una persona può sentirsi accolta e inclusa piuttosto che un elenco di ogni definizione personale che viene utilizzata nella comunità.
Pensiamo anche che l’acronimo abbia una valenza sociale e politica e che dunque gli elementi che lo compongono rappresentano le diverse battaglie che vengono combattute nel movimento, per questo cerchiamo di non usare termini onnicomprensivi come “comunità queer” o “MOGAI”, che rischiano di perdere il focus sul fatto che le persone della comunità affrontano difficoltà differenti, per quanto le vivano fianco a fianco: la lesbofobia ha matrici differenti dall’omofobia, dalla bifobia e dalla transfobia; le persone questioning vivono tipi di stigma diversi da quelli vissuti dalle persone asessuali; le istanze politiche delle persone intersex sono diverse da quelle delle persone trans, e così via.
Detto ciò, passiamo a elencare qualche punto su cui vogliamo discutere per quanto riguarda alcune altre versioni dell’acronimo:
MOGAI (Marginalized Orientations, Genders And Identities) – abbiamo già spiegato come mai siamo restii all’utilizzo di un termine unico che perda l’aspetto di differenza tra le identità che compongono la comunità, ma riguardo a questa sigla c’è anche da dire che non siamo particolarmente entusiasti del fatto che si concentri così tanto sulla marginalizzazione, cosa che potrebbe condurre a discussioni spiacevoli su chi è da considerarsi marginalizzato e chi no.
Queer – come sopra riguardo i termini unici, ma un termine completamente valido come definizione personale, che è il suo utilizzo più frequente. Un altro motivo per cui non spingiamo al suo utilizzo al posto dell’acronimo è che in molti contesti è ancora usato come insulto.
A come Alleati – In alcuni contesti (soprattutto quelli che ci tengono di più all’essere “rispettabili”) la A viene dedicata agli alleati eterocis che si battono per la comunità. Noi riteniamo che questo utilizzo sia errato per due ragioni: la prima è che dare una parte del nostro spazio a persone eterocis è controproducente rispetto alle nostre battaglie e le persone che sono genuinamente alleate dovrebbero essere in grado di comprendere questo semplice concetto; la seconda è che pensiamo sia un paradosso quello di essere alleati di una comunità di cui si fa parte: “alleato”, per definizione, è chi si batte al fianco di qualcun altro, non di se stesso.
la K – Alcune persone inseriscono la K di Kinky, che simbolizzerebbe la lotta delle persone kinky contro un concetto normato di vita sessuale che mette da parte tutte le realtà considerate “perverse” o “trasgressive”. Mentre riteniamo che questa sia una battaglia importante, pensiamo anche che non appartenga intrinsecamente al resto della comunità ma che possa essere portata avanti come intersezione (insieme ad altre istanze come quelle antirazziste o antiabiliste). Inoltre “kinky” è un termine estremamente vasto, che può includere pratiche molto stigmatizzate come anche pratiche bene o male socialmente accettate.
la P – A volte viene inserita nell’acronimo anche la P, che può stare per Pansessuale o per Poliamore.
Per quanto riguarda la pansessualità, riteniamo che le sue battaglie sociali si sovrappongano completamente con quelle bisessuali e consideriamo la bisessualità come un ombrello che racchiude ogni orientamento che costituisce l’attrazione a più di un genere, quindi dividere le due lettere alimenterebbe solamente l’idea nociva che le due comunità sono completamente separate.
Riguardo il poliamore invece i nostri pensieri sono molto simili a quelli riguardanti la K: sicuramente ci sono battaglie da combattere e c’è stigma da decostruire, ma per l’attinenza al resto delle identità e per la vastità del termine sarebbe meglio portare avanti queste istanze in un’ottica intersezionale piuttosto che includerle direttamente in quelle della comunità.
Speriamo che abbiate gradito questa nostra analisi dell’acronimo e della sua importanza nella comunità, come abbiamo detto non pretendiamo di avere la verità in tasca e riconosciamo come valide tutte le interpretazioni che vengono fatte di questo strumento. Vi invitiamo a commentare e scriverci per farci sapere i vostri pensieri al riguardo.